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L’importanza dei 280 dei primi 1000 giorni nella vita dell’essere umano
Questa componente, quale realtà articolata e complessa, contiene le chiavi del suo enigma individuale che ha in sé un proprio disegno psichico munito di caratteristiche personali, le quali influiscono sul modo di essere e di fare nella vita. E questo accanto alle potenzialità latenti, con le loro tendenze, predisposizioni, difficoltà e capacità, che potranno essere sviluppate nel corso dell’esistenza. Se ciò non è ancora ampia mente riconosciuto è perché si fa ancora difficoltà a cogliere la realtà interiore del bambino, tanto che Jung (1980, p.79) precisa: “La psiche preconscia, quella ad esempio del neonato, non è affatto una tabula rasa sulla quale tutto s’imprime, bensì un’entità estremamente complessa e individualmente determinata, la quale ci appare vuota e oscura soltanto perché non siamo in grado di scorgerla direttamente.” L’ esistenza di questa componente psichica individuale si dimostra essere (Soldera, 2024) preesistente al processo del concepimento stesso, cosa ipotizzata dalla psicanalisi quando afferma che il bambino prima del concepimento vive la mente dei genitori, quindi nella loro dimensione psichica, e che il concepimento segna il passaggio dal mondo interno al mondo esterno segnando il suo passaggio dal mondo immaginario o fantastico al mondo reale.
Fenomeno spesso riscontrato nella vita dei geni tori che sognano e che immaginano il bambino prima del concepimento e da sempre presente nella cultura popolare universale. Nella fase della preesistenza l’individualità psichica del bambino è costituita da una propria coscienza, strutturata e organizzata dotata di una propria progettualità ben definita, il proprio progetto di vita, capace di interagire sul piano interiore, proprio come avviene nell’esperienza della relazione empatica.

L’EPIGENETICA E LE PRIME RELAZIONI

L’epigenetica, quale nuovo ramo della genetica, prende in esame il ruolo dell’ambiente nella modificazione del comportamento dei geni, senza con questo alterare il Dna del genoma umano.
Gli studi e le scoperte hanno ampiamente messo in luce (Nathalienz, 1995) il ruolo determinante svolto dall’ambiente dei genitori ed in particolare quello della madre, si è dimostrato più importante di quello che si poteva immaginare in passato nella formazione e nello sviluppo del bambino. Sappiamo infatti che il grembo materno è il luogo nel quale il nascituro vive le prime esperienze e riceve i primi imprinting, (Lipton, 2006).
Secondo Thomas Verny (2004) nello specifico la madre svolge, sia durante la gestazione che dopo, un ruolo fondamentale nei confronti del figlio, tanto da essere considerata “la prima vera educatrice”:
nessuno è in grado di sostituirla in questa sua straordinaria opera, determinante alla formazione e alla crescita di quello che sarà l’adulto di domani.
Ovviamente quando si parla di ambiente prenatale non si intende solo il corpo fisico della madre o l’ambiente circostante, anzi, ci si riferisce soprattutto a quello che la madre vive sul piano interiore, come i suoi pensieri, le sue emozioni e come questi vengono agiti e resi operativi sul piano esteriore. Per questo Verny (2021) considera da una parte l’epigenetica ambientale, riferita a fattori ambientali fisici come l’inquina mento, le tossine, troppo o poco cibo, e, dall’altra, l’epigenetica psicosociale, riguardante le relazioni, in particolare le relazioni genitori – figli, e i fattori psicologici come stress, ansia, e presenza o assenza di affetto. E a questo scopo intravede la necessità di avere una particolare attenzione verso i fattori di rischio e di protezione per l’impatto che essi possono avere sul bambino.
Di questo parla lo stesso biologo molecolare Bruce Lipton (2001) quando afferma che: “Le emozioni materne come la paura o la collera, o al contrario l’amore o la speranza, influenzano biochimicamente la selezione e la riscrittura del codice genetico del bambino nell’utero, con conseguenze evolutive molto profonde per le generazioni future”. Le emozioni positive vissute dalla madre consentono la messa in circolo da parte del sistema limbico delle endorfine, gli ormoni della felicità, capaci di favorire in generale la crescita del nascituro e, in particolare, lo sviluppo del sistema immunitario.
Il nascituro, in effetti, si nutre di affetto e di emozioni, per questo ha bisogno di vivere in un ambiente accogliente e armonioso, lontano da ogni tipo di turbamento e questo è quanto emerge dagli studi sull’attaccamento. Uno dei fattori di rischio importanti per la salute psicofisica del bambino è rappresentato dallo stress intenso e persistente vissuto dalla madre nel periodo della gestazione. La ricerca condotta sulla violenza prenatale in ambito famigliare (Quinlivan & Evans, 2005), seguita da un programma completo di assistenza prenatale individualizzata, ha messo in luce che la qualità dell’attaccamento prenatale influisce sulla gravidanza, sul parto, sul temperamento del bambino e sul suo sviluppo cognitivo e sull’attaccamento materno che dall’indagine è risultato più scarso. In uno studio condotto da Matteo Leifer (1977), volto ad indagare su alcuni dei cambiamenti psicologici che si verificano nel corso della prima gravidanza e i primi mesi del postpartum, ha rilevato la persistenza della problematica relazionale, in quanto il basso attaccamento presente in gravidanza tende a permanere anche dopo la nascita.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 30, Numero 1, anno 2025
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