L’importanza dei 280 dei primi 1000 giorni nella vita dell’essere umano
UN NUOVO PARADIGMA
Quello che si osserva ad una attenta analisi è che le iniziative a favore dell’infanzia, in particolare quelle dei primi 280 giorni, oltre che essere tardive, in genere riguardano la salute e l’integrità fisica e la povertà economica nella qua le versano le famiglie, mentre è quasi completamente trascurata l’area che afferisce al mondo interiore, al benessere personale e alla qualità delle relazioni e raramente vengono considerati i bisogni intimi del nascituro con il suo progetto di vita, che è alla base della sua esistenza in questo mondo.
Maria Acciaro (1985), in riferimento, ai suoi studi e ricerche sulla relazione madre/figlio in gestazione, afferma che: “Il bambino non si forma nel corpo, ma nella coscienza della madre”.
Questo perché, come abbiamo visto, già nelle primissime fasi della vita il bambino è dotato di una propria individualità e di un proprio IO in grado di entrare in relazione con l’IO della madre, il TU per formare insieme un NOI, quale garanzia della crescita e sviluppo del nascituro e filo conduttore della gravidanza, del parto e dell’allattamento. Un NOI fondato, non tanto sulla disponibilità reciproca esteriore, quanto su quella interiore, fatta di attenzione, presenza e grande sensibilità.
Ingredienti questi indispensabili per dare vita a quella sana relazione creativa e circolare, tra madre e figlio, (Milani Comparetti, 1992), che sappiamo essere a fondamento della vita personale, famigliare e sociale. Anche perché la difficoltà a realizzare il NOI concorre a favorire, da una parte, a la distanza tra l’IO dal TU, e dall’altra a orientare la relazione dal piano interiore soggettivo a quello esteriore oggettivo. In questo modo essa viene sganciata dalla dimensione umana, impoverita e svuotata di contenuti e significati, e resa superficiale e scarsamente utile alla crescita umana e personale, se non addirittura divenire fonte di disagio e di sofferenza. A questo proposito Giacomo Rizzolati (2017), lo scopritore dei neuroni a specchio, fa una chiare distinzione tra la conoscenza derivante dal mondo interiore e dall’attivazione dei processi primari (Solms, 2012), e quella, percettivo sensoriale di tipo oggettivo inferenziale legata ai processi secondari.
La prima ha un carattere soggettivo, che consente di rapportarsi con la realtà globale dell’altro attraverso la propria co scienza, per essere compresa in maniera fenomenologica, soggettiva e umana, o più semplicemente con il cuore, perché è “come me”. Mentre la seconda fonte di conoscenza, che potremmo definire priva della vera comprensione, avviene in maniera distaccata, solo con la mente, dove l’altro è considerato diverso da me, “lontano”.
E quando quest’ultima prevale la componente emotiva viene scalzata da quella inferenziale a vantaggio di quella fredda e strumentale.
Infatti, la sana relazione IOTU che conduce al NOI si fonda sul reciproco rispetto e collaborazione, diventando fonte di mutuo e vicendevole arricchimento. L’atteggiamento distaccato, disinteressato è alla base dei pregiudizi e dei tabù che alcune categorie sociali hanno verso altre e che nel nostro caso aiutano a capire i comportamenti che talvolta gli adulti e la società hanno verso il bambino e più in particolare verso l’essere appena concepito. Ne consegue che per poter comprendere meglio la vastità e la complessità della realtà umana, è necessario aprirsi ad una visione globale andando oltre a quanto è stato scoperto, fino ad ora, dalla scienza e, in particolare, dalle neuroscienze.
Ciò diventa possibile se si supera lo stretto legame di corrispondenza, tuttora presente nella nostra cultura, tra cervello, mente e psiche in quanto ognuna di queste strutture (seppur in relazione e parte di un unico insieme) esprime proprietà specifiche e funziona secondo modelli propri.
Scrive David Chamberlain (2014): “Per la maggior parte del XX secolo, né la medicina né la psicologia hanno fornito un’accurata comprensione riguardo alla natura dei bambini dentro l’utero o dei bambini alla nascita. Forse il più grande pregiudizio di base fu che fino ad allora il cervello era stato considerato l’unica unità di riferimento per comprendere la mente, la personalità e l’anima dell’essere umano.”
Questo anche perché la coscienza umana è qualcosa di più e non può essere ricondotta e identificata con una parte del corpo, seppur importante, come il cervello. Per questo in ambito educativo, per quanto riguarda l’intelligenza e il suo sviluppo, non possiamo fermarci a considerare solamente l’importanza degli aspetti esteriori, basati sull’esperienza pratica e verbale, ma anche quelli interiori, fondati su di un sano sistema di relazioni alimentato da emozioni positive capaci di favorire lo sviluppo degli aspetti creativi, ispirativi e intuitivi ancora poco considerati (Soldera, 2024, p. 215).
La pratica educativa diffusa di considerare il bambino come tale solo dopo la nascita e non prima, e di rapportarsi con lui principalmente dall’esterno e non dall’interno, porta a tenere conto relativamente delle esigenze soggettive, come del progetto di vita. Tutto questo può risultare particolarmente riduttivo o limitante, se non addirittura essere dannoso in un momento determinante per la sua vita con le ovvie conseguenze del caso.
Rivista Italiana on line "LA CARE" Volume 30, Numero 1, anno 2025
8